COMMENTI E TESTIMONIANZE

LA STORIA DELLA NOSTRA GEOFISICA E' ILLUMINATA 

  

DALL'OPERA DI GENEROSI E ORIGINALI SCIENZIATI  

   

di GIORGIO SALVINI, professore Emerito dell'Università di Roma La Sapienza 

  

L’opera di Franco Foresta Martin e Geppi Calcara “Per una storia della geofisica italiana” viene, a mio giudizio, in un momento opportuno per richiamare quanto si è fatto in Italia nella prima parte dello scorso secolo, anche prima di Enrico Fermi. 

La storia della nostra geofisica è stata illuminata dalla continua opera di generosi e originali scienziati. Tra questi si deve mettere Antonino Lo Surdo che una ostinata, non malevola, ma a volte ingenerosa valutazione ha messo troppo da parte. 

Io credo infatti che molto della vita e dell’opera di Lo Surdo sia stata trascurata e non sufficientemente riconosciuta. E vero: quando nasce un genio come un Mozart o un Enrico Fermi si può formare un vuoto attorno a lui e si può scomparire nel paragone. O ci si può perdere nell’ironia del confronto. Questa sembrava essere la sorte di Antonino Lo Surdo. 

Segnato gravemente dal terremoto di Messina del 1908 che gli divorò inesorabile i famigliari e la promessa sposa egli, già impegnato nella fisica dopo la laurea, continuò con originalità sperimentale il suo lavoro nelle ricerche di geofisica e di spettroscopia. La sua storia è impressionante e quasi sembra, dal racconto di Foresta Martin e Calcara che un compito del libro sia anche quello di redimere Lo Surdo agli occhi dei fisici. Posso dire che questa redenzione non è più necessaria oggi. Ma non posso escludere che vi sia stata da parte di alcuni eccellenti fisici italiani dell’epoca una sorta di involontaria persecuzione. 

Il libro di Foresta Martin e Calcara fa giustizia, ricordando i commenti di Laura Fermi che invitava alla difesa della cultura scientifica anche i ragazzi di via Panisperna. Inoltre voglio apprezzare, in onore di Edorado Amaldi, questo commento: “Potrebbe suscitare meraviglia il fatto che Amaldi ometta del tutto o minimizzi le rivalità accademiche e le ripicche tra Lo Surdo, Fermi ed alcuni componenti del suo gruppo. Questo silenzio obbedisce allo stile peculiare di Edoardo. Chi ha conosciuto Amaldi sa che per lui al centro dell’attenzione doveva esserci l’interesse collettivo per l’avanzamento della ricerca scientifica: le umane debolezze potevano restare sullo sfondo”. 

Io non ho avuto che un’immagine ridotta di queste vicende, dominanti quando io ero ancora studente (sono del 1920) e iniziavo i miei studi nell’Università di Milano. Ma ricordo ancora vivi alcuni salaci commenti romani negli anni Quaranta, quando iniziai in Frascati i lavori per la nascita dei Laboratori Nazionali. La ricerca puntigliosa di Foresta Martin e Calcara sull’attività di Antonino Lo Surdo mi sembra corretta. 

Come dicevo, la vicenda di Roma in quegli anni è degna di memoria. Nacquero in quell’epoca un nuovo centro della geofisica italiana, nuovi rivelatori per lo studio dei terremoti e delle armi di guerra e per l’analisi delle strutture atomiche, e si fecero decisivi progressi nel campo delle microonde. E’ giusto ricordare che l’effetto Stark corse il “rischio” di divenire l’effetto Stark- Lo Surdo nella storia dei premi Nobel. 

Due cose emergono giustamente dall’analisi di Foresta Martin e Calcara. Una è la nostra naturale tendenza italiana a dare realtà alle cose: palazzi, laboratori, scuole concrete di pensiero, nuovi Continenti. L’altra, l’ostinata volontà di portare avanti le cose sino alla fine. Voglio ricordare a questo proposito una sentenza illuminante di Edoardo Amaldi: “Nella vita e nel successo di un fisico, quello che maggiormente conta è il carattere. Se c’è carattere c’è necessariamente coerenza, intelligenza, fortuna. 

Dal libro di Foresta Martin e Calcara emergono luminose le figure maggiori, ma sono lieto di avere in esse ritrovate altre figure di rilievo nell’insegnamento e nel laboratorio della fisica, quali Renato Cialdea, Giuseppe Cocconi e Rita Brunetti. 

E’ merito dunque di questo lavoro di Foresta Martin e Calcara ricordare questa storia della geofisica  che si sviluppa nello stesso contesto della scuola di fisica romana degli anni Trenta, coinvolgendo molti dei collaboratori di Fermi. 

Roma, 30 giugno 2010

 

 

 

LO SURDO E L’ING: PRESENZE QUASI DIMENTICATE

ALL’ISTITUTO DI FISICA DELLA SAPIENZA DI ROMA

di Nicola Cabibbo, professore ordinario di Fisica delle particelle elementari all’Università La Sapienza di Roma

From: Nicola Cabibbo  nicola.cabibbo@roma1.infn.it

To: Franco Foresta Martin sidereus@rocketmail.com

Sun, July 11 2010

 

Caro Franco,
volevo solo dirvi che il libro mi è piaciuto moltissimo, e l'ho letto tutto d'un fiato, lasciando perdere le altre cose di cui mi stavo occupando. Il ruolo di Lo Surdo mi era sostanzialmente ignoto, e quel poco lo avevo imparato da Emilio Segrè, e quindi, come molti, mi ero formato un'idea distorta.

Quando ero studente la presenza in Istituto dell'ING era sostanzialmente dimenticata, ma naturalmente esistevano tracce della sua presenza nel gruppo di raggi cosmici, in alcune strumentazioni, in persone come Cialdea che non rientravano nella linea allora dominante sulla ricerca in nuclei e particelle. Medi, che era professore, era sostanzialmente assente per le sue molteplici attività politiche.

Mi ha molto interessato quello che avete scritto sulla preistoria dell'esperimento CPP, e  ignoravo il ruolo dell'ING in questa fase della storia. Dal libro giganteggia anche naturalmente la figura di Amaldi, sempre intento a creare occasioni di ricerca e di lavoro.

Mi ha molto colpito la qualità della documentazione, immagino in buona parte inedita, che avete raccolto.

Quindi tantissime congratulazioni per la tua nuova impresa di storico della scienza, keep going !

Ancora grazie,  Nicola

Roma, 11 luglio 2010

 

RISPOSTA DEGLI AUTORI

E’ con viva commozione che rileggo queste parole di apprezzamento per il lavoro di Geppi Calcara e mio sulla storia della geofisica, indirizzatemi l’11 luglio del 2010 dal professor Nicola Cabibbo.

Sofferente ormai da diversi mesi, ma fino all’ultimo in piena attività di ricerca, Cabibbo è mancato il 16 agosto 2010, all’età di 75 anni. Non è questa la sede per parlare dei suoi alti contributi alla fisica delle particelle e all’organizzazione della ricerca scientifica nazionale più in generale, efficacemente ricordati nei necrologi apparsi su diverse testate nazionali e internazionali.  

Mi piace ricordare, invece, il ruolo di maestro e di guida che il professor Cabibbo esercitò anche nei confronti di noi giornalisti e divulgatori scientifici. Ebbi la fortuna di conoscerlo alla fine degli anni Sessanta, in una delle scuole che si tenevano a Erice, e di seguire gli straordinari sviluppi della sua carriera di ricercatore e di manager della scienza italiana, nei suoi ruoli di presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare  e quindi dell’ENEA . Per decenni ho potuto sperimentare la sua disponibilità a fornire spiegazioni di fenomeni complessi e commenti sui sempre delicati rapporti fra la ricerca scientifica, la politica e la società.

Mi colpiva la sua capacità di calarsi, con la stessa abilità, in problemi di fisica teorica e in concrete attività sperimentali. Per questa attitudine ritengo che per lui possa essere ripetuto, a pieno titolo, quanto lui stesso soleva dire di Enrico Fermi: che è stato l’ultimo dei “grandi universali”, in un’epoca segnata dalle estreme specializzazioni.

Di Cabibbo mi affascinava  anche la  passione per la tecnologia applicata alla vita di ogni giorno e mi divertivo, in occasione dei nostri incontri per un’intervista o una spiegazione, a vederlo armeggiare con un computer parallelo APE o, più semplicemente, col suo primo laptop a cui lui stesso aveva collegato un piccolo pannello a energia solare,  per farlo funzionare in assenza di prese di corrente.

Uno dei tanti motivi dell’ammirazione che nutrivo per Cabibbo era la sua capacità di esprimere idee controcorrente, esercitando, al contempo, razionalità e rispetto del prossimo. Della contestata chiusura del programma nucleare dopo il referendum, per esempio, disse che era una cosa buona perché l’Italia era incapace di gestirlo, a livello di sistema. Affermazione che fatta da altri avrebbe suscitato scandalo fra molti suoi colleghi, ma che detta da lui, col suo stile, fu accettata come un’opinione da rispettare.

Vorrei concludere dicendo di essere felice che il nostro libro abbia potuto accendere la  sua curiosità, sempre viva in una mente così fertile, assicurandogli qualche minuto di piacevole lettura e riproponendogli personaggi e contesti a lui tanto cari.

Franco Foresta Martin

 

 

 

COSI’ LA STAZIONE SISMICA DI ROMA PASSO’

DALL’ISTITUTO DI FISICA DI ROMA A MONTEPORZIO

di Rodolfo Console, dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV)

 

La lettura del libro “Per una storia della geofisica italiana” di F. Foresta Martin e G. Calcara, e in particolare le pagine dedicate alla realizzazione della stazione sismica di Roma negli anni tra il 1937 e il 1939 (Capitolo 11), mi hanno riportato alla fine degli anni ’60, al tempo in cui io sono stato assunto all'Istituto Nazionale di Geofisica (ING), proprio quando quella stazione sismica era in fase di trasferimento dagli scantinati dell’Istituto di Fisica nella Città Universitaria, ai locali dell’Osservatorio di Monte Porzio Catone.

La stazione sismica centrale dell'ING era ancora come l'aveva progettata il Geofisico Principale Prof. Pietro Caloi alla fine degli anni '30 e l'aveva lasciata il Prof. Lo Surdo alla sua morte nel 1949.

Io sono entrato all’ING nel gennaio 1968 come aiutante del dottor Francesco Peronaci che era stato incaricato di approntare la nuova stazione sismica centrale di Monte Porzio Catone. Il professor Enrico Medi, direttore dell'ING, aveva fatto questa scelta preferendo Francesco Peronaci al professor Pietro Caloi o al geofisico Guido Pannocchia per motivi personali, più che basandosi sui meriti e sull'anzianità.

La vecchia stazione sismica della città universitaria doveva essere rimossa per richiesta dell'Istituto di Fisica che stava acquisendo tutto lo spazio ancora occupato dall'ING.

Ricordo, per esempio, che i due "giovani" geofisici assunti con l'ultimo concorso pubblico del 1952, Pietro Dominici e Franco Molina, ai quali mi sono rivolto per la richiesta di una tesi di laurea, lavoravano in uno spazio ricavato con paratie di compensato in un corridoio del primo piano dell’Istituto di Fisica.

Insomma, di lì a pochi anni tutto il personale dell’ING  si trasferì in parte all’Osservatorio di Monte Porzio, e in parte in un’angusta sede di Via Ruggero Bonghi a Colle Oppio.

Ricordo che Caloi non era in rapporti molto stretti con Peronaci e io, come suo diretto dipendente, fui presentato a Caloi solo per rispetto verso il famoso professore, ma non fui mai invitato a collaborare con lui, né mi occupai della stazione sismica di Roma, che era sotto il diretto controllo dello stesso Caloi.

Tuttavia ebbi a che fare con i sismogrammi della stazione perché partecipavo, con Peronaci, ai turni di interpretazione dei sismogrammi che, a rotazione, coinvolgevano tutti i geofisici del settore sismologico.

Abbastanza delicato fu il trasferimento dei sismografi da Roma a Monte Porzio, che avvenne nel 1970 da parte del solo personale tecnico che lavorava con Peronaci a Monte Porzio, senza la collaborazione di quello di Roma, e forse senza nemmeno informare Caloi, che non era ancora andato in pensione.

Per quanto riguarda i sismografi della vecchia stazione di Roma, i Wiechert erano già senz'altro superati e gli strumenti elettromagnetici a registrazione fotografica, erano abbastanza obsoleti anch'essi: si trattava di apparecchi progettati e realizzati fra le due guerre, secondo criteri non standardizzati. Ricordo anche con un certo rammarico che in un convegno pubblico svoltosi presso il CNR nel 1976, un ricercatore di Milano menzionò gli strumenti ancora in uso presso l'ING come esempio di inadeguatezza dello stesso ING all'evoluzione tecnologia in atto nel mondo.

A Monte Porzio, invece, fu installata una stazione sismica considerata standard negli anni '60, basata su una terna di sismografi a breve e una terna a lungo periodo acquistati da una ditta americana e compatibile con la rete mondiale WWSSN ((World Wide Standardised Seismographic Network).

A Monte Porzio fu sviluppata, nel 1970, anche la recente tecnologia sismografica facente uso dell'elettonica a stato solido, come, per esempio, una stazione sismica trasportabile con registrazione su nastro magnetico. Successivamente alla morte di Caloi, di Medi e di Peronaci, e nel 1976 iniziarono gli esperimenti di telemetria che portarono, nel 1978, all'avvio della rete sismica nazionale centralizzata.

Da quel momento la stazione sismica di Monte Porzio, divenuta Osservatorio Geofisico Centrale dell'ING, ha svolto il ruolo di sede tecnica operativa dell'ING attorno quale si è sviluppato progressivamente l'Istituto che oggi conosciamo come INGV.

 Roma, 12 luglio 2010

 

 

 

LA STORIA DI UN ENTE RACCONTATA

SENZA APPESANTIMENTIMENTI BUROCRATICI

di Alessandro Pascolini, professore associato di Metodi Matematici della Fisica all’Università di Padova

 

Ho letto con grande curiosità e piacere il libro di Franco Foresta Martin e Geppi Calcara “Per una storia della Geofisica italiana”, Springer, 2010, e mi congratulo con gli autori per l'ottimo lavoro.

La storia di un ente di ricerca rischia facilmente di cadere nei meandri della burocrazia istituzionale, mentre il libro riesce a renderla interessante, sottolineando gli aspetti umani dei vari personaggi e introducendo aperture sulle problematiche scientifiche, al di là della specifica storia dell'istituzione.

L'idea di costruire la prima storia dell'ING attorno alla figura di Lo Surdo e' stata vincente, anche perché, in questo modo, si è contribuito a riconoscergli il ruolo che ha avuto come esponente importante della cultura scientifica italiana, ruolo finora largamente ignorato.

Dal punto di vista editoriale, ho trovati molto utili i due indici: la ricca bibliografia consultata dagli autori e l'elenco dei lavori editi dall’ING nel periodo della direzione Lo Surdo (1938-1949).

L'unica limitazione -considerata la mia ‘mania’ per l'iconografia- e' la dimensione delle immagini, a volte poco leggibili.

Un aspetto dell'ING che mi ha sorpreso sono le scarse aperture internazionali, con nessuna pubblicazione su riviste straniere, ciò in deciso contrasto con l'atteggiamento del gruppo di Fermi, largamente inteso a inserirsi nella comunità mondiale dei fisici.

Un dato che vorrei aver chiarito è quando Lo Surdo entra nell'Accademia d'Italia. Dal libro sembra che ciò avvenga dopo il 1939, mentre Fermi ne fece parte dal 1929.

Infine desidero segnalare una curiosità: Lo Surdo e Corbino hanno in comune anche di essere stati entrambi vittime del terremoto di Messina.

 

Padova, 16 luglio 2010

 

RISPOSTA DEGLI AUTORI

Nel ringraziarla per le parole di apprezzamento, le confermiamo che la nomina di Lo Surdo all’Accademia d’Italia è del 16 giugno 1939: dieci anni dopo quella di Fermi. A questo proposito, secondo Laura Capon Fermi (“Atomi in famiglia”, Mondadori, 1954) quando nel marzo 1929 si seppe che il marito era fra i primi 30 accademici nominati da Mussolini, Lo Surdo avrebbe avuto una specie di travaso di bile. Ma, come diciamo nel libro, l’aneddotica sulla rivalità fra i due scienziati è stata spesso dilatata, molto oltre la realtà.

Condividiamo la critica sulle modeste dimensioni della maggior parte delle immagini, dovute principalmente alla scarsa qualità degli originali d'epoca, che non ha permesso riproduzioni a più elevata risoluzione; ma anche alla sobrietà della collana, che non privilegia la parte iconografica.

Infine, ci sembra senz’altro da valorizzare il fatto che Corbino e Lo Surdo fossero accomunati anche dall’esperienza di scampati al terremoto di Messina del 1908.

Roma, 17 luglio 2010

 

 

 

GINO CASSINIS, UN INNOVATORE NEL CAMPO

DELLA TOPOGRAFIA E DELLA GEODESIA

di Roberto Cassinis, professore ordinario di Fisica terrestre all'Università degli Studi di Milano (dal 1968 al pensionamento, nel 1997).

 

Accolgo volentieri l’invito degli Autori del libro “Per una storia della geofisica italiana” ad integrare con personali ricordi la figura e l’opera di uno scienziato che ha contribuito al rinnovamento della Geodesia e, in generale, delle Scienze della terra nel secolo scorso: mio padre, il professore Gino Cassinis  (Milano, 1885- Roma, 1964). A quanto riferito dagli autori sul ruolo che egli ebbe nel delineare il progetto costitutivo dell’Istituto Nazionale di Geofisica (ING), assieme a Lo Surdo, attorno alla metà degli anni Trenta, aggiungo che la carriera accademica di Gino Cassinis iniziò a Pisa, nel 1925 dove fu nominato professore di ruolo di Topografia e incaricato di Geodesia. Alcuni anni dopo, nel 1932, fu chiamato a ricoprire la cattedra di Topografia e di Geodesia al Politecnico di Milano, dove  fondò un’importante scuola dalla quale scaturirono fondamentali contributi alla tecnica dei rilievi topografici, anche nel moderno campo della fotogrammetria, acquistando in breve risonanza internazionale.

La sua carriera accademica continuò presso lo stesso Politecnico di Milano, dove fu preside della Facoltà di Ingegneria nel 1939 e Rettore dal 1944 al 1960, anno in cui fu collocato a riposo. E’ stato anche presidente dell’Accademia nazionale dei Lincei dal 1959 e, sempre dallo stesso anno, sindaco di Milano. Oltre a numerose pubblicazioni, ha lasciato importanti opere, sia di topografia che di calcolo numerico (Calcoli numerici, grafici e meccanici, 1925; Lezioni di topografia e geodesia, 1932).

Ma, sotto il profilo scientifico, il suo contributo più importante alle Scienze della Terra è costituito dall’aver proposto il concetto di “gravità normale” legata alla forma della Terra; la formula da lui proposta costituisce ancora oggi la base comune per determinare le anomalie della gravità sulla superficie del pianeta.

Gino Cassinis ha compiuto varie campagne di misura della gravità impiegando apparati pendolari e gravimetri; ha effettuato inoltre misure di gravità in mare (apparato pendolare istallato in un sommergibile) fin dal 1931, tra le prime in assoluto su scala mondiale, determinando l’anomalia positiva di gravità del Tirreno, che ne ha rivelato il carattere di bacino oceanico. Le sue Tavole fondamentali per la riduzione dei valori osservati della gravità, pubblicate nel 1937 in collaborazione con S. Ballarin e P. Dore, servono ancor oggi, pur con modifiche e miglioramenti, inserite anche in subroutine per calcolatori, dopo aver costituito per decenni lo strumento fondamentale di riduzione delle misure di g in campagna o in mare. Negli ultimi anni di attività l’attenzione di Cassinis è stata anche attratta dall’impiego geodetico dei satelliti artificiali, dimostrando un’attitudine al costante aggiornamento e all’impiego delle moderne tecnologie.

Milano, 23 luglio 2010

 

 

 

 

UNA STORIA DI IERI

CHE SERVE PER I NOSTRI GIORNI

 

di Settimo Termini, professore ordinario di Informatica teorica, Università di Palermo

 

Non sono un geofisico, anche se durante gli studi universitari di fisica a Palermo, i geofisici “abitavano” al piano di sopra, come naturalmente ricorda anche Franco Foresta Martin. E anche se mi sono laureato in fisica, ormai da molto tempo appartengo a quella schiera di fisici che sono andati a colonizzare altri campi. Dico questo solo per chiarire che ho letto il bellissimo libro “Per una Storia della geofisica italiana” non da esperto, quasi da uomo della strada e sono proprio gli aspetti che un qualsiasi passante potrebbe rilevare quelli sui quali mi vorrei soffermare.

Ho già usato l’aggettivo “bellissimo” per definire il libro, e quindi adesso mi spetta argomentare questo giudizio che, “incautamente”, mi sono lasciato sfuggire subito. Il libro è bellissimo, in primo luogo, perché è scritto in modo molto scorrevole, con un linguaggio piano e suadente, poi perché è accattivante, si legge anche come un giallo, si vuole continuare ad andare avanti nella lettura per sapere come un po’ di cose si sono svolte e come siano andate a finire.

Anche per chi un po’ di storia della fisica italiana del Novecento l’ha letta e la conosce, il libro svela dettagli e scenari che non solo gli erano ignoti, ma che in alcuni casi neanche sospettava che potessero esistere. Credo che il libro sia molto importante - per il lettore colto non specialista - perché mette in luce molte connessioni tra gruppi di ricerca e persone, legami a volte non noti neanche a chi fa ricerca; molto efficace e utile poi è anche la descrizione dei modi in cui nascono e si affermano - per simbiosi e per differenziazione - nuove istituzioni di ricerca.

Importante è il modo con cui permette di rivedere nella giusta luce scienziati (in primo luogo, Lo Surdo) e ricerche, rimasti in ombra per molto tempo. Una grande ombra è generata dalla presenza di giganti come Enrico Fermi, ma l’essere posti in quest’ombra deriva anche da azioni compiute o non compiute da altri protagonisti. Tutto questo e le “riscoperte” di persone, fatti e istituzioni, vengono, però, presentate in modo naturale e pacato, non in polemica contro altre versioni date in passato da altri. Il libro non polemizza neanche con alcuni giudizi - un po’ troppo personali - di Emilio Segrè, ma cerca di aggiungere altri tasselli e altre informazioni perché il lettore abbia un quadro il più possibile completo e possa farsi una sua personale opinione sul carattere dei diversi protagonisti e su cosa sia veramente accaduto. (Questo potrebbe farci pensare che lo stile - almeno in questi punti - diventi noioso, da “archivio”, come la professione di uno dei due autori potrebbe indurre a credere, ma - come ho già ricordato - lo stile, invece, è da giallista, e ci fa chiedere sempre: “ma, e adesso che succede?”).

Ho l’impressione, infine, che i meriti del libro siano anche maggiori. L’aver tirato fuori tanti nuovi documenti, su cui la brillante narrazione si basa, credo che possa essere utile anche agli storici di professione e questo credo che valga se non altro per il capitolo 14 (A CACCIA DI RAGGI COSMICI) nel quale vengono raccontati e documentati in dettaglio rapporti di collaborazione tra fisici e geofisici che saranno molto utili a entrambi i gruppi. Questa almeno è la mia impressione da “passante”, e poiché i passanti si pongono in genere anche molte altre domande che non c’entrano niente con quello di cui parlano i saggi e gli esperti, voglio fare anch’io così.

Siccome ogni storia è anche storia dell’oggi, desidero, perciò, concludere questa breve e un po’ sconclusionata carrellata, nella quale ho riportato disordinatamente immagini che si sono accavallate nella mia mente, con una richiesta agli autori del libro. Dalla sua lettura emerge l’importanza di molte cose. La ricerca scientifica come asse portante per la modernizzazione del Paese, l’importanza che entrambe (ricerca e modernizzazione)  non siano solo affidate a intuizioni geniali, ma possa svolgersi in istituzioni stabili e funzionanti e radicarsi in “comune sentire” di tutto il Paese, l’importanza di quello che potremmo chiamare - con espressione pomposa - un “dialogo interdisciplinare” (e che, usando un linguaggio terra-terra, non vuol dire altro che gli scienziati devono parlare tra loro cercando - umilmente - di capire i problemi cruciali di un settore diverso da quello di cui sono superesperti). L’importanza - sottolineata da Edoardo Amaldi - il cui centenario della nascita due anni fa, tra l’altro, non è stato ricordato come si sarebbe dovuto -  del fatto che, come scrivono gli autori “al centro dell’attenzione doveva esserci l’interesse collettivo per l’avanzamento della ricerca scientifica: le umane debolezze potevano restare sullo sfondo”.

Ecco, tutte queste cose sono valide ancora oggi, in un momento difficile per il Paese, difficile per la nostra ricerca scientifica. E le due cose sono strettamente legate tra loro oltre che con problemi di tenuta complessiva del Paese, di mantenimento dei livelli raggiunti nel “glorioso trentennio” 1945-75. Ecco, la mia richiesta agli autori è quella di mettere in evidenza, in questo sito o altrove, quanto la storia da loro raccontata parli anche dell’oggi (e ne parla proprio perché è una fedele ricostruzione e analisi dell’ieri) e come una analisi  dei successi e degli errori di ieri , possa indicarci quali errori la società italiana stia commettendo oggi (purtroppo, di successi, oggi, non ne vediamo neanche l’ombra).

 

Palermo, 25 luglio 2010

 

 

RISPOSTA DEGLI AUTORI

Raccogliamo subito, e con convinzione, l’invito del professor Settimo Termini  di trarre spunto da un episodio emblematico della storia della geofisica italiana, come quello che affrontiamo nel nostro libro, per riflettere sugli attualissimi problemi della crisi della ricerca scientifica nel nostro Paese. E lo facciamo non solo dando risalto, in questo sito, al suo articolato e appassionato intervento -per cui gli esprimiamo la nostra gratitudine-, ma esortando tutti gli altri lettori che desiderassero intervenire ad andare oltre gli aspetti storici e archivistici della vicenda da noi narrata, per testimoniare le analogie fra pregi e difetti, fra successi e insuccessi, tipici del nostro vulnerabile sistema della ricerca: quello di ieri come quello di oggi.

Roma, 26 luglio 2010

 

 

 

BERNARDINI E WICK OSSERVAVANO RAGGI COSMICI IN MONTAGNA

MA LA GENTE PENSAVA CHE SI DIVERTISSERO A SCIARE

di Piero Bianucci, giornalista scientifico e scrittore

 

Un’eco, sia pure tardiva, dell’età dell’oro dei raggi cosmici, quando erano l’unica sorgente di particelle ad alta energia utilizzabile nello studio del nucleo atomico e portarono a scoperte fondamentali come quella del positrone, mi è giunta da vari protagonisti di quella stagione della fisica atomica.

Tra gli altri, me ne parlarono ancora con gli occhi luccicanti di curiosità Bruno Rossi, Gilberto Bernardini, Giancarlo Wick e, fugacemente, con ritrosia, Giuseppe Occhialini.

In parte la vocazione italiana per questo campo della ricerca fu casuale: abbiamo le Alpi, e tutto il gruppo dei “ragazzi di via Panisperna” amava le lunghe camminate in alta montagna, al limite dell’agonismo.

La testimonianza più divertente rimane per me quella che raccolsi da Giancarlo Wick nel 1989 intervistandolo per “La Stampa”.

“Mi occupai anche io di raggi cosmici – mi disse – su sollecitazione di Bruno Rossi quando, dopo Palermo, ebbi una cattedra all’Università di Padova. Rossi mi aveva chiamato là proprio per sviluppare queste ricerche, ma poi dovette emigrare in seguito alle leggi razziali e io lavorai con Gilberto Bernardini. Avevamo gli strumenti per registrare i raggi cosmici sul Plateau Rosa, a 4000 metri di quota. Ricordo che ci andavamo vestiti da sci, suscitando le critiche della gente: pensavano che andassimo a divertirci, mentre tanti giovani erano al fronte.” 

Torino, 5 agosto 2010

 

 

 

UNA STORIA BEN DOCUMENTATA SUL PRIMO ASSETTO

DELLA MODERNA GEOFISICA IN ITALIA

di Luigi Iafrate, Geografo specializzato in Storia della Meteorologia e del Clima

Obiettivo, accurato nei dettagli tecnico-scientifici, storicamente ben contestualizzato, accessibile ai più, e potrei ancora continuare con altre espressioni qualificanti di compiacimento: così a me appare il lavoro recente di storia della scienza “Per una storia della geofisica italiana. La nascita dell’Istituto Nazionale di Geofisica (1936) e la figura di Antonino Lo Surdo”, realizzato dal giornalista scientifico Franco Foresta Martin e dall’archivista Geppi Calcara. Si tratta di un saggio storico veramente originale, frutto e dell’analisi critica di una gran copia di scritti editi sui settori più svariati della geofisica, e della ricerca e studio da certosino di preziosi documenti inediti del Fondo CNR (conservato presso l’Archivio Centrale dello Stato) e dell’Archivio Storico dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). Un lavoro storico, finalmente, così ben documentato da fare luce su un periodo di profonde ed innovative trasformazioni della ricerca scientifica italiana!

Il periodo preso in esame dal testo è soprattutto quello del rilancio e del riassetto organizzativo degli studi e dei servizi di geofisica in Italia: anni Trenta e Quaranta dello scorso secolo. L’ambito di ricerche della geofisica di quel tempo, puntualizzano ben a ragione gli autori, non si identificava assolutamente nella sola sismologia (come oggi vorrebbe un’interpretazione riduttiva del suo oggetto di studio), in quanto la geofisica era venuta alla luce e si era affermata come disciplina di studio dei diversi fenomeni fisici che si svolgono tanto all’interno della Terra solida, quanto sulla sua superficie e nella sua atmosfera.

Decisivi ai fini della riorganizzazione dei servizi nazionali di meteorologia e geofisica si rivelarono, come con dovizia di particolari documentano i nostri autori, gli sforzi in tal senso compiuti dal neo costituito Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), nel corso degli anni ’30, per mano di personalità della comunità scientifica italiana di fama internazionale, tra cui spicca la figura del suo stesso presidente, il celeberrimo Guglielmo Marconi, impegnato in prima linea. Allo scopo di adempiere al riassetto dei servizi menzionati, il Comitato Nazionale per la Geodesia e la Geofisica del CNR, per impulso anche del suo presidente, il geofisico e geografo Luigi De Marchi, il 20 gennaio 1931, aveva avanzato la proposta di istituire un’apposita Commissione, che nel marzo dello stesso anno era già all’opera. Ad essere riorganizzati per primi saranno i servizi di meteorologia. Il disegno caldeggiato dai vertici del CNR, con Marconi nelle avanguardie, era quello di “smantellare” l’allora Ufficio Centrale di Meteorologia e Geofisica (progenitore diretto dell’attuale Unità di Ricerca per la Climatologia e la Meteorologia applicate all’Agricoltura del Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura), in quanto ritenuto di ostacolo ai propositi di rilancio scientifico ed operativo tanto della meteorologia quanto degli altri settori della geofisica. E l’Ufficio sarebbe stato, senza ombra di dubbio, liquidato, se non ci fosse stata la mediazione del ministro dell’Agricoltura Giacomo Acerbo (l’Ufficio era a quel tempo alle dirette dipendenze del Ministero dell’Agricoltura e Foreste) e la recisa opposizione del ministro delle Finanze Guido Jung. L’approfondimento, da parte di Foresta Martin e Calcara, di questi passaggi chiave, attingendo direttamente dalle fonti originali, mi ha permesso, finalmente, di comprendere appieno le ragioni alla base della vocazione spiccatamente agraria assunta in quegli anni dall’Ufficio Centrale di Meteorologia e le motivazioni più circostanziate che portarono, nel 1936, alla creazione, in seno al CNR, dell’Istituto Nazionale di Geofisica (oggi Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), che solo nel 1945 diventerà un ente di ricerca autonomo.

Dal momento che la figura di Luigi De Marchi è ricordata nel libro di Foresta Martin e Calcara, permettetemi alcune considerazioni sulla feconda attività di ricerca scientifica da lui svolta, ma, a tutt’oggi, misconosciuta. Nacque a Milano il 16 maggio 1857 e morì a Padova il 15 febbraio 1936. Si laureò in fisica e matematica nel 1880. Lavorò come bibliotecario dal 1881 al 1902. Fu professore di geografia fisica all’Università di Padova dal 1902 al 1932. Il 24 febbraio 1934, per i suoi alti meriti scientifici e per il suo trascorso impegno politico, venne nominato senatore del Regno. Geofisico e geografo, egli era uno scienziato di straordinaria levatura, capace di passare, con una facilità estrema, da uno studio all’altro, nei campi più disparati della Fisica Terrestre e della geografia fisica, per poi riprenderli, anche a distanza di molti anni, alla luce delle più recenti conoscenze acquisite. Incominciò con i suoi originali studi di meteorologia teorica. Si tratta di indagini analitiche che, condotte su basi e con metodo puramente matematici, denotano chiaramente la sua peculiare attitudine ad affrontare i problemi fisici più complessi. Il germe dei suoi lavori di meteorologia teorica dinamica è rappresentato da quel suo studio giovanile che reca il titolo “Ricerche sulla teoria matematica dei venti” (1883), seguito da un’originale appendice dal titolo “Sulla costanza della rotazione totale in un sistema di venti” (1886) e da una memoria che completa i due studi: “Sulla teoria dei cicloni”. È esattamente in questi suoi lavori che si incontra, per la prima volta in meteorologia, il concetto fondamentale di “vorticità assoluta” (una misura della rotazione dell’aria), generalmente attribuito a Carl-Gustaf Arvid Rossby. È verosimile che il Rossby abbia teorizzato il concetto di vorticità (anni ’40 del secolo scorso) prendendo spunto proprio dagli studi del De Marchi, essendo essi trattati nel Lehrbuch der Meteorologie di Adolf Sprung (1885), per un trentennio il testo più importante di meteorologia dinamica. Il De Marchi stabiliva una relazione tra la densità dell’aria e la “rotazione idrodinamica”, sulla cui base determinava teoricamente l’evoluzione di un ciclone fisso. Distingueva i cicloni, infine, in termici e dinamici. Nel giro di un decennio, dunque, egli aveva pubblicato una trattazione della dinamica dell’atmosfera senza confronti per imponenza e rigore. Come grandiosa costruzione intellettuale, l’insieme di questi suoi studi è superiore anche ai contributi dati alla meteorologia matematica da Hermann von Helmholtz (1821-1894) e da Vilhelm Bjerknes (1862-1951), e trova qualcosa di paragonabile soltanto nell’opera del padre delle previsioni meteorologiche numeriche, Lewis Fry Richardson (1881-1953), il quale, insieme con von Helmholtz, è il solo che si possa comparare al De Marchi per genio, versatilità e rigore. Dal suo interesse per i problemi della variabilità e delle oscillazioni delle vicende atmosferiche, Luigi De Marchi derivò un vasto e singolare studio che porta il titolo “Sulle cause dell’era glaciale” (1895), che gli valse il premio Cagnola dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. La causa che meglio di ogni altra può dar ragione delle glaciazioni, e delle variazioni climatiche in genere, egli la identifica in una maggiore torbidità dell’atmosfera, e più precisamente in un maggior contenuto di vapore acqueo, venendo così a trovarsi in parziale contrasto con le vedute scientifiche del famoso chimico e fisico svedese Svante August Arrhenius, il quale attribuiva invece maggiore importanza alle variazioni dell’anidride carbonica. De Marchi studiò anche gli effetti dell’accumulo dei ghiacci sui continenti in relazione alle variazioni del livello dei mari. Non v’è settore della geofisica di cui egli non si sia interessato. Fu tra i primi a compiere ricerche di geofisica marina nell’Adriatico. Contribuì anche a chiarire i meccanismi della propagazione delle onde sismiche. È piacevole, infine, ricordare come, tra il 1899 e il 1901, Luigi De Marchi trascorresse molte giornate sul Lago di Como, a bordo di una piccola imbarcazione, per attendere ad una metodica raccolta di misure limnologiche. Qualche anno dopo, egli prenderà parte attiva anche ad osservazioni mareometriche nella Laguna di Venezia e lungo il litorale, non disdegnando di sobbarcarsi a intere giornate di pazienti misure, in località lontane ed in condizioni spesso disagiate. A conclusione di questa mia “digressione”, si può ragionevolmente supporre che la notevole attività scientifica del De Marchi in materia di fisica terrestre abbia contribuito anch’essa ad ispirare il vasto programma di ricerche geofisiche messo a punto dall’Istituto Nazionale di Geofisica (ING)  all’indomani della sua costituzione.

Brillantemente diretto dal fisico siracusano Antonino Lo Surdo, il nascente Istituto Nazionale di Geofisica appariva impegnato su ben dieci settori di ricerca: sismologia, raggi cosmici, elettricità atmosferica e terrestre, limnologia, ionosfera, radioattività terrestre, radiazione ed ottica atmosferica, geologia e geodesia, nuove tecnologie, meteorologia. Relativamente a quest’ultimo ambito, le sue competenze dovevano però limitarsi, per dirla con Lo Surdo stesso, alle sole “ricerche scientifiche per la risoluzione dei vari problemi meteorici, al campionamento e perfezionamento dei  mezzi di ricerca e di osservazione”, escludendo perciò, come sottolineano i nostri autori, le previsioni del tempo, dal 1925 appannaggio dell’Aeronautica Militare, e gli studi e ricerche di agrometeorologia, rimasti di pertinenza del summenzionato Ufficio meteorologico centrale.  

Gran rilievo è dato nel testo proprio alla figura di Antonino Lo Surdo: il suo contributo alla creazione dell’Istituto Nazionale di Geofisica appare determinante. Passato alla storia per la scoperta dell’effetto di un campo elettrico sullo spettro di emissione dei gas rarefatti,  da                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    da lui realizzata, indipendentemente dal fisico sperimentale tedesco Johannes Stark, nel 1913, Lo Surdo si distinse anche per i suoi originali ed innovativi studi di fisica terrestre e per l’invenzione e perfezionamento di apparecchi scientifici di innegabile utilità per la geofisica, quali, per esempio, il sismometro a liquido e due modelli trasportabili di nefoscopio. Il suo approccio alla ricerca era eminentemente sperimentale. Non v’è, nella sua ricca produzione scientifica, fanno rilevare gli autori, “un campo di studi prevalente”, avendo egli, con pari impegno, profuso le proprie energie nei comparti più disparati della fisica terrestre. Franco Foresta Martin e Geppi Calcara, documenti alla mano, si sforzano, in questo loro saggio, di “riabilitare” Lo Surdo scienziato, valutandone serenamente i meriti di studioso e di organizzatore della ricerca in fisica e geofisica, troppo a lungo offuscati dai giudizi negativi di qualche personaggio di spicco della scuola fisica romana degli anni Trenta. Quasi duecento sono i lavori pubblicati dall’ING nei dodici anni e mezzo di direzione Lo Surdo (dal dicembre 1936 al giugno 1949), nonostante il suo scarno organico e le enormi difficoltà di quegli anni!

Gli autori riferiscono anche di un’importante iniziativa editoriale promossa da Lo Surdo: la realizzazione di un “Trattato di geofisica”. Una sorta di compendio sulla fisica dell’atmosfera, dell’idrosfera e della terra solida, scritto a più mani e destinato a studenti e cultori della materia. La morte improvvisa di Lo Surdo, nel giugno del 1949, farà però arenare il grandioso progetto. La parte sismologica dell’opera era stata affidata a Pietro Caloi, mentre quella meteorologica a Raoul Bilancini, entrambi due fuoriclasse della geofisica. Secondo una recente testimonianza resa allo scrivente dal meteorologo e storico della meteorologia Vittorio Cantù, Raoul Bilancini, dopo aver scritto la sezione del trattato consacrata alla meteorologia (circa 400 pagine), l’avrebbe, nel 1949, consegnata personalmente a Lo Surdo. A raccontarlo a Cantù fu lo stesso Bilancini. Spero di poterla ritrovare!

Molti sono gli aneddoti riportati e le fotografie riprodotte nel testo. Non sapevo, pur avendolo conosciuto di persona, che il meteorologo Ezio Rosini (1914-2002), agli inizi della sua brillante carriera, avesse lavorato presso l’Istituto Nazionale di Geofisica nel settore della sismologia!

Grazie Franco e grazie Geppi per l’interessante Storia che ci avete raccontato. 

Roma, 24 settembre 2010  

 

RISPOSTA DEGLI AUTORI

Abbiamo particolarmente apprezzato il lungo  intervento del dottor Luigi Iafrate, non solo per l’accurata analisi che egli fa del nostro lavoro, ma anche per il contributo di approfondimenti e di nuove ricerche che presenta.

Iafrate ha colto in pieno lo spirito delle  pagine di questo sito, realizzando una formidabile messa a fuoco della figura del  professor Luigi De Marchi, geografo e geofisico di prima grandezza fra l’800 e il ‘900, da noi appena sfiorato nella nostra storia.

Inoltre, abbiamo appreso con entusiasmo della possibilità di recuperare la parte meteorologica del Trattato di Geofisica promosso da Lo Surdo nel corso degli anni ‘40. Auguriamo di cuore al dottor Iafrate, tramite i buoni uffici del dottor Vittorio Cantù, di riuscire nell’impresa!

Franco Foresta Martin e Geppi Calcara

Roma, 26 settembre

QUANDO ALL’ISTITUTO DI FISICA

C’ERA  L’INSEGNA DELL’ING

di BRUNO ZOLESI, Dirigente di ricerca dell’Istitiuto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia

 “ Per una storia della geofisica italiana” è stata una lettura estremamente interessante e coinvolgente, attraverso un’ avvincente narrazione mi ha fatto conoscere le vicende del vecchio Istituto Nazionale di Geofisica prima che io avessi la fortuna di farne parte. Vicende che solo parzialmente  avevo appreso da Pietro Dominici, Dirigente del vecchio Reparto Ionosferico: una miniera di aneddoti ed informazioni.

E’ tornato poi  alla memoria il periodo in cui, per la mia tesi di laurea, frequentavo quotidianamente l’Istituto di Fisica della facoltà di Scienze, alla Sapienza, che ancora aveva nell’entrata posteriore, quella vicina all’aula di Fisica Superiore, l’ insegna  Istituto Nazionale di Geofisica.

Nel preparare una tesi sperimentale che riguardava le caratteristiche di un rivelatore di raggi cosmici  avevo avuto quali docenti e relatori  Marcello Conversi e Renato Cialdea, due eminenti fisici che hanno fatto anche la storia dell’ING.

Tra i tanti episodi divertenti di quel periodo, era il lontano 1973,  mi piace ricordare quella volta quando, in occasione del rientro in Italia del premio Nobel Emilio Segrè, si tornò a discutere, come spesso accade, se il premio non dovesse invece andare a un altro grande fisico italiano: Oreste Piccioni.

Noi giovani laureandi, chiedemmo a Conversi, amico di entrambi, e certamente lui stesso ancora di più meritevole di un premio Nobel, quale fosse il suo parere. Conversi persona di grande cordialità e ironia, ci pensò e poi disse: “In certi casi vale la legge del menga: chi ha il Nobel se lo tenga”.  

Roma, 14 dicembre 2010

 

 

UNO SISMOGRAFO DELLA STAZIONE SISMICA DI ROMA

RISCOPERTO E VALORIZZATO ALL’ISTITUTO DI FISICA

 

di Gianni Battimelli e Maria Grazia Ianniello, professori del Dipartimento di Fisica dell’Università La Sapienza, Roma

 

Con grande piacere segnaliamo il ‘ritorno’ presso il Dipartimento di Fisica della Sapienza di Roma di un sismografo meccanico Wiechert da 200 kg, tipo “ING”, per rilevare le componenti orizzontali dei movimenti del suolo, con pendolo astatico a smorzamento d’aria. Costruito nelle Officine dell’Istituto Nazionale di Geofisica del CNR, ha funzionato nel sottosuolo dell’Edificio Marconi della Sapienza dalla seconda metà degli anni Trenta fino alla fine degli anni Settanta (nell’apparecchio è inserito un sismogramma con scritto Pavia 25/XII/1978). Sostanzialmente completo, ha il castello di sostegno dell’apparato di registrazione montato male. Aspettiamo per il suo restauro una visita da parte del dr. Graziano Ferrari, dirigente di ricerca INGV Sezione di Bologna e responsabile Unità funzionale SISMOS al Centro Nazionale Terremoti di via Vigna Murata a Roma. Riteniamo infatti che la salvaguardia e la valorizzazione dell’esemplare, che reca il numero 5, rientri a buon diritto nel progetto di recupero del patrimonio storico della sismologia italiana SISMOS. Il sismografo era stato ‘salvato’ da Renato Cialdea che lo aveva fatto collocare nel sottoscala delle palazzine delle segreterie della Sapienza. Ormai dimenticato, riemerge  a ottobre 2010, dopo 15 anni, per tornare al luogo di partenza. Attualmente il sismografo è stato fatto  sistemare dal direttore del Dipartimento, Giancarlo Ruocco, al II piano dell’Edificio Fermi alla Sapienza.

Roma, 3 marzo 2011

 

RISPOSTA DEGLI AUTORI

Siamo convinti che la fruttuosa collaborazione fra fisici e geofisici, che si attuò a partire dal novembre 1936, con la creazione dell’ING e con la sua prima localizzazione presso l’Istituto di Fisica della Sapienza, abbia generato tutta una serie di ricerche e realizzazioni pionieristiche, in gran parte dimenticate, che meritano di essere ricordate e valorizzate. Di esse faceva parte la Stazione Sismica Sperimentale di Roma, caposaldo della rete sismica nazionale, che era stata allestita, in tempi da record, tra l’inizio del 1937 e la fine del 1938, per iniziativa del direttore dell’ING prof. Antonino Lo Surdo, del ‘primo geofisico’ prof. Pietro Caloi e di altri giovanissimi collaboratori.

Il sismografo Wiechert, salvato negli anni ’70 dalla lungimiranza del prof. Renato Cialdea, fondatore del Museo di Fisica della Sapienza, e ora ritrovato dai professori Gianni Battimelli e Maria Grazia Ianniello, rappresenta un lascito di quella stagione di rinascita della geofisica italiana.

Ringraziamo i professori Battimelli e Ianniello per avercene dato comunicazione; e soprattutto, per aver valorizzato lo strumento attraverso la sua esposizione permanente e averne promosso il recupero funzionale con la collaborazione del dottor Graziano Ferrari dell’ING.

Franco Foresta Martin e Geppi Calcara

Roma, 4 marzo 2011

 

GLI

AUTORI

 DEGLI

INTERVENTI

 (In ordine cronologico di invio dei contributi)

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Giorgio Salvini, fisico, è stato tra i fondatori e primo  direttore dei Laboratori di Frascati dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN); titolare della cattedra di Fisica Sperimentale e quindi di Fisica Superiore; presidente dell’INFN; presidente dell’Accademia dei Lincei; ministro per la ricerca scientifica e tecnologica. E’ stato fra i maggiori  collaboratori del premio Nobel Carlo Rubbia nell’esperimento UA1 che ha condotto alla scoperta dei bosoni intermedi al CERN di Ginevra. Di recente ha pubblicato: “L’uomo, un insieme aperto. La mia vita di fisico”, Mondadori Università, 2010.

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Nicola Cabibbo, Roma 10 aprile 1935 - Roma 16 agosto 2010, professore di Fisica delle particelle elementari all'Università La Sapienza di Roma, è stato un fisico teorico di fama internazionale. I suoi studi hanno contribuito a chiarire i meccanismi delle interazioni fondamentali e il comportamento dei quark. Si è anche dedicato alla progettazione di super computer nell'ambito dei progetti APE. E' stato presidente dell'INFN, dell'ENEA e della Pontificia Accademia delle Scienze.

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Rodolfo Console,  fisico e sismologo, è dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) dove lavora dal  1968 occupandosi, prevalentemente, dello sviluppo della rete sismica nazionale e del software per l’analisi automatica dei dati. Partecipa alle attività di analisi e ricerca del CTBTO, l’organizzazione internazionale che si occupa del monitoraggio geofisico su scala globale, finalizzato ai controlli nell’ambito del Comprehensive Nuclear Test Ban Treaty e alla localizzazione di eventuali esplosioni nucleari. Ha svolto attività didattica e di ricerca all’Università di Roma Tre e all’Earthquake Research Insititute dell’Università di Tokyo.

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Alessandro Pascolini, fisico, insegna metodi matematici della fisica, scienza per la pace e comunicazione scientifica all’Università di Padova. È anche docente al Master europeo di Venezia in Diritti Umani e Democratizzazione. I suoi interessi di ricerca abbracciano la fisica nucleare teorica, la fisica matematica, tecnologie militari e la storia della scienza. Si dedica ad attività di promozione della cultura scientifica in Europa, in particolare realizzando mostre e producendo audiovisivi. Partecipa alle Pugwash Conferences on Science and World Affairs. La Società Europea di Fisica gli ha conferito il premio 2004 per la divulgazione scientifica.

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ROBERTO CASSINIS_0.jpg

Roberto Cassinis, ingegnere,  professore di Geofisica Mineraria all’Università di Palermo (1964-1968), poi ordinario di Fisica Terrestre all'Università degli Studi di Milano (dal 1968 al pensionamento, nel 1997),  è stato direttore dell’Istituto di Geofisica della litosfera del CNR e direttore della Scuola internazionale di Geofisica di Erice. Ha effettuato numerose campagne di prospezione geofisica finalizzate sia alla ricerca di giacimenti di idrocarburi, sia di giacimenti di minerali solidi.  Ha anche svolto studi geofisici per accertare la fattibilità di grandi opere civili, fra cui il Ponte sullo Stretto di Messina. Di recente ha pubblicato un libro di memorie autobiografico: “Uomo del Secolo”,  Editoriale il Ponte,  2003.

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Settimo Termini, fisico, è ordinario di Informatica Teorica all'Università di Palermo e “affiliated researcher” dell’ European Center for Soft Computing, Mieres (Oviedo), Spagna. Ha diretto, dal 2002 al 2009, l'Istituto di Cibernetica "Eduardo Caianiello" del CNR di Napoli. Fisico di formazione, si è occupato principalmente dei problemi posti dal trattamento dell'informazione incompleta e rivedibile in sistemi complessi. Fellow dell’International Fuzzy Systems Association (IFSA), Socio dell'Accademia Nazionale di Scienze Lettere ed Arti di Palermo, è condirettore della Rivista “Lettera matematica Pristem”  (Springer). Autore, tra l’altro, di "Aspects of Vagueness", Kluwer, 1984 (con H. J. Skala ed E. Trillas), Imagination and Rigor, Springer, 2006 e Contro il declino, Codice edizioni, 2007 (con Pietro Greco).

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Piero Bianucci, giornalista scientifico e scrittore,  ha lavorato per oltre 30 anni a La Stampa di Torino, dove ha fondato e diretto il dorso settimanale Tuttoscienze. E’ autore di una trentina di libri, prevalentemente di divulgazione scientifica, molti dei quali tradotti in francese e in spagnolo. Tra gli ultimi titoli: Atlante della Terra,UTET, 1999, La Luna, dallo sbarco alla colonizzazione, Giunti, 1999, Il piccolo cielo, Simonelli, 2003, Le macchine invisibili, Longanesi, 2009. E’  presidente del comitato scientifico della mostra Experimenta.

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Luigi Iafrate,  laureato in Lettere con Indirizzo Geografico presso l’Università degli Studi di Roma Tre, con una tesi sulla storia della meteorologia. Ha svolto attività di ricerca nei settori della storia della meteorologia e della climatologia storica, presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche e l’Ufficio Centrale di Ecologia Agraria (ex Ufficio Centrale di Meteorologia e Geofisica, oggi Unità di Ricerca per la Climatologia e la Meteorologia applicate all’Agricoltura). È stato docente di storia della meteorologia e del clima all’Università Europea di Roma. Lavora attualmente presso le Biblioteche storiche di ricerca del Centro di Ricerca per lo Studio delle Relazioni tra Pianta e Suolo (CRA-RPS) e dell’Unità di Ricerca per la Climatologia e la Meteorologia applicate all’Agricoltura (CRA-CMA). È autore di diverse pubblicazioni, tra cui “Dalla meteorologia antica alle origini italiane della meteorologia moderna” (2002) e “Fede e Scienza: un incontro proficuo. Origini e sviluppo della meteorologia fino agli inizi del ‘900” (2008). È coautore del testo “Il mistero del tempo e del clima” (2000).

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Bruno Zolesi, nato nel 1949 a Porto Santo Stefano, dal 1955 risiede e vive a Roma. Ha conseguito la laurea in Fisica a pieni voti nel 1973 presso l’Università di Roma “La Sapienza” discutendo  con Marcello Conversi e Renato Cialdea una tesi sulle caratteristiche di un rivelatore di raggi cosmici. Insieme a Federico Capasso e Stefano Gasperini , due colleghi di studi universitari,  ha pubblicato nel 1976 per la casa editrice Ambrosiana, un libro di problemi svolti di fisica basati su quelli proposti da un best seller dell’epoca l’ Halliday e Resnick. Nel 1979, risultato vincitore di un concorso nazionale, è stato assunto nell’Istituto Nazionale di Geofisica ed assegnato al Reparto Ionosferico del quale è diventato poi dirigente nel 1985. Sin da questo periodo le principali attività di ricerca hanno riguardato la Fisica e la Radio propagazione ionosferica; in particolare ha realizzato il sistema per la previsione delle frequenze in onda corta utilizzato nel Servizio Ionosferico Nazionale. Negli anni 90, ottenuta la qualifica di Dirigente di ricerca, è stato impegnato nei progetti europei COST, Cooperation for Science and Technology, come chairman e vice chairman, convenor in numerose sessioni dell’European Geophysical Union.

 

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Gianni Battimelli è professore associato al Dipartimento di Fisica dell'Università "La Sapienza" di Roma. Le sue ricerche si sono svolte nel campo della storia della Fisica e, in modo particolare, della storia delle istituzioni scientifiche e degli sviluppi della Fisica italiana del Novecento. E' autore del volume L'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Storia di una comunità di ricerca (con M. De Maria e G. Paoloni) e L'eredità di Fermi. Storia fotografica dal 1927 al 1959 dagli archivi di Edoardo Amaldi. Ha curato la raccolta, conservazione e inventariazione degli archivi personali di rilevanti figure della fisica italiana.

Maria Grazia Ianniello è professore associato al Dipartimento di Fisica dell'Università "La Sapienza" di Roma. Autore di numerosi lavori nel campo della didattica e della storia della fisica, sulla genesi e l’evoluzione di concetti e di teorie di particolare rilievo in meccanica, ottica, elettromagnetismo e termodinamica, nonché sul rapporto teoria-esperimento. Fra i volumi che ha contribuito a pubblicare: L’ottica dalle origini all’inizio del ‘700, Loescher, 1982; Enciclopedismo in Roma barocca. Athanasius Kircher e il Museo del Collegio romano, Marsilio, 1986; Guglielmo Marconi, La telegrafia senza fili, Teknos, 1995; Cento anni di radio, da Marconi al futuro delle telecomunicazioni, Marsilio, 1995;Storia e didattica della fisica. Strumenti per insegnare, Aracne, 2004.